Facebook e Apple sono ai ferri corti, e il motivo sono i nostri dati

Negli scorsi giorni è apparsa una pagina a pagamento su alcuni grandi giornali statunitensi, e a pagare per farlo è stata Facebook, l’enorme azienda a capo della quale siede ancora il suo fondatore, Mark Zuckerberg. Quella pagina era un attacco diretto ad Apple, un altro dei giganti tecnologici americani. La pagina contiene un messaggio molto chiaro: secondo il social network più usato al mondo (che possiede anche Instagram e WhatsApp) Apple starebbe cercando di fargli un brutto sgambetto. Come? Facendo in modo che le pubblicità di Facebook non funzioni più.

A questo punto serve un piccolo passo indietro: la pubblicità, su Facebook, è “targhetizzata”, in altre parole è regolata sui nostri gusti. Ci piace un certo prodotto? Facebook lo sa e può passare questa informazione agli inserzionisti, che a loro volta possono immaginare cos’altro, di simile o uguale, potrebbe piacerci e sponsorizzarlo sulle nostre bacheche proprio in base a questo. Facciamo un esempio: ci piacciono le auto tedesche e di qualità? Ecco che questa nostra preferenza (espressa con dei like o degli status o anche semplicemente andando a vedere foto e video attinenti) può essere usata da un’azienda automobilistica, diciamo per esempio BMW, per proporci una sua pubblicità.

Questo meccanismo ha due aspetti, da una parte è utile perché permette a noi di vedere pubblicità che potrebbero davvero interessarci. L’utilità vale anche per le aziende, che grazie a questo meccanismo possono sponsorizzare i loro prodotti con più efficacia. Sull’altra faccia della medaglia c’è la questione della nostra privacy: se i nostri gusti e le nostre attività online vengono vendute, senza il nostro esplicito consenso, e diffuse a terzi per scopi commerciali significa che Facebook, e altri social network, usano il tempo che noi impieghiamo a navigare per guadagnare cifre immense. Il tutto modificando ciò che appare, o non appare, sui nostri schermi proprio attraverso le sponsorizzazioni.

Ed è qui il punto, le sponsorizzazioni e la privacy: Apple sta implementando alcune modifiche sul suo sistema operativo iOS 14, che funzionerà su tutti i nuovi iPhone e iPad, e farà in modo che agli utenti verrà chiesta, per ogni nuova app scaricata, una domanda come “acconsenti a fornire i tuoi dati?”. Se molti nuovi utilizzatori di Facebook, Instagram e altri social utilizzabili via app, risponderanno negativamente (ed è molto probabile) il modello di business di Facebook andrà in crisi. Una crisi che rischia di piegare lo strapotere del colosso gestito da Zuckerberg.

Evidentemente, secondo i dirigenti di Facebook questa mossa di Apple è un vero e proprio sgarro da rendere pubblico a mezzo stampa. A noi che leggiamo la notizia, potrebbe sembrare una semplice scelta, consapevole, dei futuri consumatori dei prodotti Apple, ma per chi lavora a Facebook invece è apparsa come qualcosa di diverso: una serissima minaccia all’esistenza di Facebook per come lo conosciamo.

E pensare che Facebook ha anche altri serissimi problemi: l’Unione Europea ha intenzioni molto serie sulla necessità di ridurre la quantità di mercato online in mano a Facebook, che secondo molti osservatori, economisti ed esperti di legge è di fatto un monopolista. Eppure questa controversia con Apple è già ai ferri corti: Facebook, nella pagina a pagamento fatta pubblicare sui quotidiani, scrive che i problemi più seri li avranno le piccole e medie imprese, che grazie alla targhetizzazione degli annunci pubblicitari riescono a trovare clienti, investitori e tenere coese le “proprie comunità”.

E ad Apple, cosa rispondono? Una controversia simile, a dire la verità, c’era già stata poco tempo fa. La decisione di aggiungere su iOS un’impostazione chiamata “App Tracking Transparency” aveva già inasprito i rapporti tra l’azienda di Zuckerberg e quella diretta da Tim Cook. Ma di recente le dichiarazioni si sono fatte più serie, come dimostra la pagina a pagamento pubblicata da Facebook, e così anche Apple ha usato toni altrettanto duri e categorici: “crediamo che si tratti di una semplice questione di difesa dei nostri utenti. Tutti gli utenti dovrebbero sapere quando i loro dati vengono raccolti e condivisi con altre applicazioni”.

Controversie simili, di solito, finiscono nelle aule dei tribunali, e possono costare miliardi di dollari ad aziende come Apple e Facebook. Al momento, però, non c’è notizia di giudici impegnati su tecnicismi tecnologici. Forse i due giganti del tech stanno cercando una soluzione con dei colloqui privati.

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