Gemini Man è il massimo della tecnologia applicato al cinema, e non solo

Will Smith e il suo doppio giovane sono diretti da Ang Lee, che mette lo spettacolare 3D+ al servizio della storia.
image

La visionarietà di registi come James Cameron, George Lucas e Peter Jackson è paragonabile a quella degli scienziati che con le loro menti vivono già proiettati nel futuro. Attraverso le società da essi stessi fondate, investono milioni di dollari nella produzione di effetti speciali, prefigurando scenari e tecnologie con cui noi comuni mortali faremo i conti solo un domani. Accanto a loro ci sono poi i traghettatori, cineasti altrettanto pionieristici che mettono in pratica queste tecnologie all’avanguardia, testandone possibilità e confini in film di rottura che, al momento della loro uscita, rappresentano il più alto livello di sperimentazione visiva, anche quando, a volte, non si direbbe.

Tra i più grandi innovatori in ambito cinematografico c’è sicuramente Ang Lee, uno dei pochi ad avere acquisito piena consapevolezza di come davvero la tecnica possa fare la differenza se messa coerentemente e sensatamente al servizio della storia. Se è vero, infatti, che al cinema, è sempre più difficile trovare una storia che non sia ancora stata raccontata, se non declinandola in contesti differenti, l’originalità non sta più nella storia in sé, ma nel modo in cui questa ci viene presentata. Applicando questo principio ad Ang Lee, si pensi, per esempio, a ciò che ha rappresentato, una ventina d’anni or sono, l’impiego dei cavi applicati agli attori in La tigre e dragone, film pirotecnico che ha rivoluzionato il modo di concepire le coreografie marziali nel cinema d’azione e, in particolare, nel wuxiapian –come viene chiamato il genere cappa e spada in Estremo Oriente.

image
PUBBLICITÀ – CONTINUA A LEGGERE DI SEGUITO

È con un balzo di tre anni, infatti, che proprio la tecnica adottata da Lee in Billy Lynn nel 2016 ci porta a parlare di Gemini Man, la sua nuova e, ancora una volta, rivoluzionaria sfida. Questo action fantascientifico vede come protagonista Will Smith nel duplice ruolo di un sicario al soldo del governo, ma a un passo dalla pensione, e di quello del suo doppelganger più giovane programmato per ucciderlo. Detta così, si direbbe la storia più vecchia del mondo (Lo studente di Praga, per esempio, risale al 1913) e ci sarebbe da scommettere che, nelle mani del regista sbagliato, non sarebbe diventato altro se non l’ennesima variante sul tema impreziosita da qualche buon effetto speciale di ultima generazione. Ang Lee, invece, è riuscito ad adattarlo alle proprie esigenze di ricerca linguistica e, con la collaborazione del produttore Jerry Bruckheimer (un altro che ormai è abituato a guardare lontano), lo ha reso un film unico nel suo genere, destinato a spianare la strada a molti altri cineasti che verranno.

image
courtesy 20th century fox

Girato come Billy Lynn a una velocità di 120 fotogrammi al secondo, Gemini Man è il primo film sul mercato ad avvalersi della nuovissima tecnologia 3D+. Si tratta di un’ulteriore evoluzione del 3D in grado di catturare anche il più piccolo dettaglio. Una differenza che si vede soprattutto nei momenti più concitati, dove è possibile cogliere per la prima volta particolari che altrimenti l’occhio umano non sarebbe in grado di percepire, soprattutto nel caso di un tradizionale film girato a 24fps. È ovvio che ci sia bisogno di appositi occhiali tridimensionali e di sale predisposte tecnologicamente a garantire questo tipo di fruizione, ma nelle condizioni ottimali come quelle in cui ci siamo trovati noi, il risultato della profondità dell’immagine è veramente sensazionale. Mai prima d’ora, infatti, lo spettatore ha avuto la possibilità di immergersi così tanto all’interno del singolo frame da poter dire di aver vissuto la sensazione di esserci dentro.

La seconda grande innovazione di Gemini Man riguarda il lavoro di interazione tra digitale e attori. Il progetto del film – con altri registi e interpreti coinvolti – esiste da vent’anni, ma non era mai riuscito a concretizzarsi perché la tecnologia non era ancora sufficientemente evoluta da consentirlo. Oggi, invece, la situazione è cambiata e per la prima volta è possibile vedere interagire sullo schermo due personaggi, identici in quanto ad attore che li porta in scena nello stesso momento, ma diversi per età anagrafica. Creare un essere umano digitale, infatti, è uno dei processi più difficili in assoluto. Prima d’ora è stato possibile farlo solo con l’intervento degli effetti visivi. Dalle tecniche di ringiovanimento alla sostituzione facciale (come quella impiegata anche in Italia nel film Il campione dove la testa di Andrea Carpenzano è stata collocata sul corpo di un vero calciatore per permettergli di giocare da fuoriclasse).

PUBBLICITÀ – CONTINUA A LEGGERE DI SEGUITO
image
courtesy 20th century fox

Nel caso di Gemini Man, invece, la versione giovane di Will Smith è una creatura in tutto e per tutto ricreata digitalmente e guidata al 100% dalla performance in motion capture dello stesso Will Smith. Questo significa che la versione ventitreenne di Will Smith, identica a come ce lo ricordiamo ai tempi del Principe di Bel Air, vive dell’interpretazione, delle emozioni e delle doti attoriali di Will Smith quando recita la controparte di sé stesso. Il risultato, a dir poco impressionante, è un Will Smith cinquantenne in carne e ossa che dialoga, interagisce e combatte con un ventenne Will Smith digitale, anch’esso in carne e d’ossa, e frutto della somma delle esperienze compiute dall’attore da quando era solo un rapper passato alla televisione fino a oggi.

In un periodo storico caratterizzato da una crescente fruizione in streaming attraverso dispositivi che tendono ad allontanare sempre di più lo spettatore dalla sala, Ang Lee è il primo regista a ridare una speranza e un senso concreti al futuro dell’esperienza cinematografica da vivere esclusivamente sul grande schermo. Facendo confluire in un unico grande progetto i risultati separati ottenuti con Vita di Pi e Billy Lynn, Ang Lee con Gemini Man ci traghetta verso una nuova era digitale, il cui compito – ci dice – va ben oltre i confini della spettacolarità. Piuttosto, è quello di rendere l’esperienza cinematografica più reale, più immersiva. In una parola: più umana.

Continua a leggere