King Crimson, dinosauri o alieni?

Siamo stati al concerto milanese della band capitata da Robert Fripp. Ecco cosa succede quando ci sono tre batterie in prima fila sul palco

King Crimson

Qualcuno tra noi, oggi, se la sente ancora di annunciare pubblicamente che tutti i dinosauri sono davvero estinti? Scomparsi proprio tutti dalla faccia della terra?

Soprattutto dopo che gli “ultimi” sette, magnifici, esemplari hanno messo a ferro e fuoco l’Arcimboldi di Milano con una doppietta live da urlo e sold out ampiamente anticipati? Di sicuro i punk non si immaginavano questo come il futuro di una volta, vale a dire il peggiore scenario possibile nella loro idea estetica di rivoluzione musicale. Al punto che band come i King Crimson fanno tuttora il vuoto in scia, riempiono teatri in tutto il mondo, suonano per quasi tre ore a data sconvolgendo così ogni pronostico, ogni improvvisazione disordinata, ogni semplice equazione da bar.

La creatura di Robert Fripp, concetto arcaico se si bada all’essenza vera e aperta di quello che da anni si è trasformato in un b(r)and a tutti gli effetti, si presenta in orario sul palco e compatta come non mai. Le tre batterie (avete capito bene) di Pat Mastelotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey, in prima fila sul palco, costituiscono l’avanguardia sonica cui seguono leggermente defilati il buon Fripp, Jakko Jakszyk, voce e seconda chitarra, Tony Levin ai bassi, e il formidabile Mel Collins ai fiati.

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